Impara a piangere, imparerai ad amare

5 Feb 2019 | In guerra con me stessa, Su di me

Ho sempre avuto momenti di crisi, crisi che all’apice del nervosismo terminavano in un pianto. Ma non uno di quelli veri, liberatori, quel pianto era l’inevitabile epilogo di una discussione priva di soluzione. Il classico pianto isterico, dove stress e nervoso diventano lacrime.

Se penso a tutte le persone che riescono a piangere semplicemente guardando un film mi sento una persona fredda, quasi insensibile, ma so di non esserlo. Eppure mi sento in colpa, mi sento inferiore per non essere in grado di farlo, perché so bene che se non accade è a causa di questo maniacale controllo che applico in ogni sfera della mia vita. Solo due film che mi hanno fatto piangere: sette anime ed un film con Richard Gere ed un cane il cui nome in questo momento mi sfugge.

Ringrazio la tecnologia che mi permette di scrivere ed esternare sensazioni e pensieri mediante microfono e dettatore automatico, perché in questo momento non avrei né forza né lucidità per farlo utilizzando la tastiera o la penna.

Ho sempre fuggito e fuggo tuttora le situazioni che mi costringono ad affrontare e fronteggiare i miei sentimenti, che mi costringono a provare qualcosa. Paura, dolore, malinconia, tristezza, nostalgia. La nostalgia dei tempi passati, la nostalgia della spensieratezza di una bambina che faceva di tutto per mostrarsi grande, che non voleva altro che diventare grande, come se gli adulti avessero gli strumenti per affrontare le situazioni difficili o le sapessero risolvere. Ma mi sbagliavo.

Diventando grande ho capito che i bambini hanno molto più acume, ma soprattutto sono in grado di scindere le cose importanti da quelle effimere, esprimere i loro sentimenti, chiedere gli abbracci, chiedere i baci e chiedere aiuto. Cosa che io mi sono negata per anni, convinta di non averne bisogno, quando in realtà era soltanto un’armatura, una corazza per proteggermi da non so che cosa, o forse lo so, dalla paura di dipendere dagli altri.

Beh oggi posso dire che le volte in cui ho pianto veramente sono tre.

La prima volta avevo sei anni, quando mia mamma decise di lasciarsi con mio padre e lui, in ginocchio e con le lacrime agli occhi, ci implorò di rimanere.

La seconda l’anno scorso, in una situazione critica, fu un pianto di terrore, e fu per mia sorella. Perché le voglio un bene dell’anima e perché abbiamo condiviso e attraversato tutte le difficoltà insieme, cambiando città, casa, scuola e amici. Spostandoci con valigie e andando a vivere da sole ad appena 13 anni.

La terza questa sera, di fianco a mia nonna, la donna più forte che io abbia mai conosciuto. Un vero leone, e non solo di segno zodiacale, una donna di polso, colei che ha sempre tenuto le redini, un carattere difficile ma un’intelligenza innata. Lei, insieme a mio nonno, che ormai non c’è più, ci ha trasmesso l’amore per la cultura, ci ha insegnato i valori della vita, ci ha cresciuto, ci ha sgridato quand’era opportuno farlo.

Vederla debole ma lucida mi ha traumatizzato, mi ha portato a piangere, ma mi ha fatto anche capire quanto sia inutile fuggire dalle situazioni di dolore perché sono proprio quelle che ti fanno sentire viva, che ti fanno capire cosa davvero conta nella vita, come e con chi vale la pena di investire il proprio tempo.

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